giovedì 23 giugno 2016

ERRORI E SENTENZE: LA SICUREZZA IN AZIENDA

Finalmente il processo Thyssen si è concluso: 8 anni e mezzo e 5 gradi di giudizio hanno messo la parola fine al procedimento avvenuto dopo i drammatici fati del 5-6 Dicembre 2007, dove morirono, sulla linea 5 di ricottura e decapaggio, 7 operai degli 8 addetti al turno di notte.
Le informazioni di oggi ci dicono che Antonio Boccuzzi, l’unico operaio superstite, è oggi parlamentare della repubblica (al 2° mandato, prima elezione avvenuta nel 2008 – a pochi mesi dai fatti) e che Marco Pucci, ex Dirigente Thyssen, condannato a 6 anni e 2 mesi, è stato nominato da poco come Responsabile delle partecipate Ilva da parte dei commissari ministeriali. Posizioni di rilievo per entrambi, anche se la storia di quello che è successo a Torino deve essere riscostruita per quello che è accaduto e non solo per i volti dei protagonisti presenti o dei dirigenti in carica all’epoca dei fatti.
L’errore umano, si sa, appartiene alla nostra biologia; da sempre il miglior modo di affrontare gli errori è quello di non individuare dei colpevoli e quello di non cambiare la nostra natura errante.  Nel primo caso la persona diventa la soluzione definitiva del problema, una volta allontanata, si ricomincia da capo, pensando di aver estirpato il male alla sua radice. Nella seconda ipotesi, al contrario, si cercano delle regole “contro-natura” pensando che chiunque le applichi, non potrà cadere in errore. Avrete già capito che nell’uno e nell’altro caso, si procede in modo ingenuo e semplicistico, allontanando gli occhi dal problema e facendo finta di risolverlo. “Facite ammuina Dottò, meglio pe’ vuie….” , come usava fare la marina Borbonica, fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche nulla, facendo finta di muoversi e di provvedere ad un fine comune.
Purtroppo gli errori umani si possono solo gestire, attraverso i fattori organizzativi, lavorativi e comunicativi; bisogna spostare l’attenzione dal risultato finale al processo che porta a quel risultato, dopo un incidente bisogna fare una profonda analisi su tutti i fattori che hanno portato a quel tragico epilogo. Le sentenze sono necessarie, danno un senso di giustizia e di sensibilizzazione, ma se vogliamo che le nostre aziende siano sicure ci dobbiamo staccare dalle sentenza e produrre sistemi di sicurezza attiva e ragionata. Chi educa i propri figli a furia di parolacce, atti di rabbia e obblighi imperativi coltiverà una cultura terroristica, in cui l’obbiettivo diventerà poco a poco quello di non far arrabbiare papà e non quello di esprimere se stessi; allo stesso modo non dobbiamo pensare a come migliorare la sicurezza in azienda al fine di evitare condanne penali. In questo modo l'obbiettivo non è più la sicurezza in azienda e la sua gestione, ma diventa come evitare la responsabilità e dimostrare la propria estraneità alle vicende che accadono.
Per istituire dei sani modelli basati sullo studio degli errori umani e l’analisi sulle tipologie di errore, bisogna riscoprire due grandi teorici come Jens Rasmussen e James Reason; il primo cominciò a studiare - a partire dagli anni settanta - l’importanza e la gravità degli errori in complessi altamente tecnologizzati (come le centrali nucleari), il secondo - negli anni novanta - rivolse il suo sguardo agli ambienti sanitari e all'impatto degli errori sulle possibili cause di morte dei pazienti, inventando la famosa metafora del “formaggio svizzero”
Concludo con un interrogativo che riprenderò il prossimo post:
Gli errori sono sempre così palesemente riconoscibili e perfettamente distinti dal corretto modo di procedere?